Dichiarata nel 1988 Parco Regionale, deve il suo nome alle galline selvatiche che la popolavano in passato. Nel versante meridionale e orientale si trovano le falesie a strapiombo che ospitano una delle più popolose colonie di Gabbiani reali del Tirreno settentrionale, oltre ai cormorani. Approdo di marinai fenici, greci e romani fin dalla più remota antichità, verso la fine del IV secolo fu rifugio di San Martino di Tours, poco prima di iniziare ad evangelizzare le Gallie. In questo quadro, l’oscuro isolotto delle galline selvatiche si illumina di luce straordinaria perché San Martino diventa ben presto uno dei santi più popolari della cristianità. Chi non ricorda il gesto di Martino, che varcando a cavallo la porta di Amiens, recide con un colpo di spada il suo mantello per donarlo a un povero? Ancora oggi, sull’isola, una grotta che guarda sul mare aperto viene indicata come il rifugio di Martino, a mezza via tra il capo Sciuscia (il soffiatore) e punta Falconara. Al suo interno rimangono ancora dei calcinacci e un altare dell’antica cappella, su cui sono deposti i resti di uno scheletro umano. Molti relitti e manufatti furono recuperati nei fondali attorno all'isola, alcuni risalenti al V secolo a.C. e identificati come provenienti dalla zona di Marsiglia, per via dei commerci avvenuti in passato. Svariati reperti sono conservati nel Museo navale di Albenga presso il palazzo Peloso Cepolla, tra cui molte anfore di epoca Romana dal periodo repubblicano fino al VII secolo. Nel Medioevo l'isola fu sede di una comunità di monaci, prima Colombiani e poi Benedettini. Nel 1586 il podestà di Albenga Galeazzo Di Negro vi fece erigere punti di avvistamento per contrastare le scorrerie saracene.